By: Erik Bracco
Categorie: Esperienze di viaggioPubblicato il: 17/10/2025
Prepararsi al viaggio

Metti insieme un gruppo di persone che non si conoscono. Portale nel deserto. Togli il WiFi. Aggiungi un po’ di sabbia, sudore, risate e buon cibo… ed ecco che, in sette giorni, ti ritrovi in una compagnia che sembra una troupe teatrale in tournée.
Non servono copioni: basta la strada, qualche curva inaspettata e la voglia di condividere.
Il mio viaggio è iniziato a Torino, con la valigia piena di attrezzatura fotografica e un misto di emozione e sonno arretrato. In auto fino a Malpensa per il volo delle 5:45, il che significava essere in aeroporto verso le 3:30: una partenza “a freddo” nel vero senso della parola. La sveglia è stata una prova di forza, ma sapevo che atterrando presto a Marrakech avremmo avuto un’intera giornata per immergerci nell’atmosfera marocchina.

Marrakech: caos e calma

Marrakech ci accoglie con il suo abbraccio caldo.  Non metaforico: caldo davvero. I motorini ti passano a pochi centimetri, i venditori ti parlano in tre lingue contemporaneamente, i profumi delle spezie si mescolano all’odore di benzina e pane appena sfornato. Poi, come in una scena che solo il Marocco sa regalarti, giri un angolo e ti ritrovi in un riad silenzioso: un cortile con divani morbidi, un tè alla menta che fuma e profuma. Caos fuori, calma dentro.

Salendo tra le montagne

Il giorno dopo lasciamo il caos della città alle spalle e iniziamo a salire. All’inizio è asfalto, poi le curve si stringono e la quota cresce. Al Col de Tizi N’Aït Hmed, ben 3.000 metri, ci sorprende qualche chiazza di neve. Non muri bianchi, ma abbastanza da ricordarci quanto il clima qui possa cambiare in fretta. Il vento non lasciava dubbi: intenso, gelido, tagliente. È uno di quei venti che ti fanno stringere la giacca e abbassare istintivamente la testa, ma che allo stesso tempo ti ricordano che sei vivo. Ogni cartello lungo la strada è una scusa per fermarsi: foto, selfie, battute. Qualcuno dice che documentare il viaggio sia importante. Io dico che è solo un modo per prolungare i momenti belli. E non è solo la strada a contare: è chi hai accanto. Mangiare insieme, ridere forte, vivere davvero.

Incontri inattesi lungo la strada

Poi la strada si fa polverosa, quasi marziana. A chilometri dal primo centro abitato ci fermiamo per una pausa: un po’ d’acqua, qualcosa da mangiare, due chiacchiere. Dal nulla… spuntano tre ragazze. Occhi timidi ma curiosi, che ci osservano senza fretta. Poco dopo arriva un papà con il figlio in moto: qui si cresce in sella. Tra di noi c’è chi si sdraia al sole, chi chiacchiera, chi resta in silenzio. Le ragazze sorridono, un po’ si nascondono, ma restano lì. Uno scambio di sguardi e il Marocco smette di essere solo paesaggio: diventa una somma di volti, gesti e piccoli frammenti di umanità.

Il cibo: un viaggio nel viaggio

Il cibo qui è un viaggio nel viaggio. Cous cous, tajine, pane caldo che scrocchia sotto i denti.
Ci sono regole non scritte che impari subito: niente insalate crude, solo acqua in bottiglia sigillata e un rispetto quasi religioso per il tè alla menta. Non è solo una bevanda, è un rito. E se ti offrono il bicchiere con un sorriso, non puoi dire di no… anche se sei già al sesto della giornata.

L’infinito davanti al cartello “Tombouctou”

Poi ecco un’icona di chi ama le strade lunghe: il cartello “Tombouctou 52 jours”. Non è in mezzo al deserto, ma davanti a lui l’orizzonte sembra comunque infinito. È una scritta che sa di avventura, un richiamo a distanze impossibili. Ci fermiamo, naturalmente. Foto di rito, battute (“Ce la facciamo per l’aperitivo?”) e poi di nuovo in sella.

Il deserto in due volti e Franco De Megni

Ed è lì che il deserto si mostra in due facce. Prima quello inatteso: fiorito, quasi fragile. Piccoli germogli verdi che spuntano dalla sabbia, fiori gialli e lilla che resistono al vento e al sole come se avessero fatto un patto segreto con la vita. Cammini e ti chiedi come sia possibile che in un luogo così duro ci sia tanta bellezza, improvvisa e tenace. Poi, qualche chilometro più avanti, affrontiamo il vero deserto secco e arido. Sabbia che sembra non finire mai, orizzonti che cancellano ogni riferimento. Il caldo è secco e il silenzio ti riempie le orecchie. In quel tratto, Franco De Megni accompagna e guida il gruppo con calma e sicurezza: non dà ordini, non si mette in mostra, ma la sua esperienza (Parigi-Dakar e non solo…) emerge in modo naturale. Sapere che c’è lui rende tutto più semplice. Non c’è appiglio, non c’è distrazione: sei tu davanti all’infinito, e l’unica cosa che puoi fare è ascoltarlo.

I dromedari e la semplicità dei momenti

E poi, i dromedari. Alcuni immobili come statue, altri che si muovono lenti, come se fossero loro a dettare il ritmo del deserto. Lo ammetto: un paio di selfie li ho scattati. Uno è venuto bene, l’altro sembra una foto segnaletica. Ma va bene così. Non è la perfezione a fare un viaggio: è la somma di momenti veri.

Ritorno a Marrakech

Gli ultimi chilometri verso Marrakech scorrono veloci, come se la strada sapesse che il viaggio sta finendo. Poi, durante l’ultimo rifornimento alle moto, un pallone rotola in mezzo alla strada e qualcuno del gruppo si ritrova a giocare con bambini sconosciuti. Si ride, ci si saluta, e già capiamo che il Marocco resterà con noi non solo per i panorami spettacolari, ma per i volti, le mani, le risate e le strade condivise.

Il segreto del viaggio

E forse è proprio questo il segreto: viaggiare insieme significa costruire ricordi che nessuna connessione WiFi potrà mai trasmettere. Ricordi che restano impressi come la polvere del deserto sui nostri vestiti.